L’art. 128 co. 1 del Trattato UE sul Funzionamento della Unione Europea (TFUE) dispone che “la Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote in euro all'interno dell'Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell'Unione.”
Il co. 2 dello stesso articolo stabilisce inoltre che “gli Stati membri possono coniare monete metalliche in euro con l'approvazione della Banca centrale europea per quanto riguarda il volume del conio. Il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, può adottare misure per armonizzare le denominazioni e le specificazioni tecniche di tutte le monete metalliche destinate alla circolazione, nella misura necessaria per agevolare la loro circolazione nell'Unione.”
L’art. 127 TFUE assegna al Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) il monopolio delle politiche monetarie all’interno dell’Unione Europea.
L’art. 3 TFUE attribuisce poi tutta la politica monetaria all’Unione Europea: “L’Unione ha competenza esclusiva nei seguenti settori: (omissis…) politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l’euro“; da ciò, una parte della dottrina in materia sostiene che anche qualora uno strumento di politica monetaria non fosse di competenza del sistema europeo del SEBC, sarebbe comunque – in ogni caso – di competenza comunitaria.
L’art. 2 TFUE aggiunge anche che “quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza esclusiva in un determinato settore (nella specie, le politiche monetarie), solo l’Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti”.
I Trattati Europei hanno quindi trasferito alla BCE l'emissione di banconote unificando così l’emissione della moneta cartacea Euro per tutta l'Unione Europea; inoltre, hanno dato alla BCE un controllo sulla quantità di monete metalliche Euro che hanno validità in tutta l’Unione, e che sono emesse dai singoli Stati.
L’argomento, oggi attuale, di un eventuale ritorno – almeno parziale – della sovranità monetaria ai singoli Stati attraverso monete complementari, ricomprende anche la cosiddetta “moneta fiscale” ed i cosiddetti “minibot”, oggetto questi ultimi della presente analisi.
Sul punto si è espressa anche la Banca d’Italia in data 11 dicembre 2017: “il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (art. 128) e il Regolamento EC/974/98 (art. 2, 10 e 11) stabiliscono, infatti, che le banconote e le monete metalliche in euro sono le uniche con corso legale nell’unione monetaria. All’emissione la moneta fiscale svolgerebbe solo la funzione di riserva di valore, e da questo punto di vista sarebbe del tutto simile a un titolo di Stato. Sulla base della legislazione vigente tale “moneta” potrebbe essere utilizzata come mezzo di pagamento solo con il consenso del creditore. Pertanto, essa sarebbe accettata con sicurezza solo dallo Stato il quale si impegnerebbe ad accettarla in compensazione dei propri crediti fiscali nei confronti del detentore. Qualora invece lo Stato decidesse unilateralmente di liberarsi di propri debiti con un pagamento eseguito in moneta diversa dalla moneta legale si prefigurerebbe una violazione di quanto previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dal Regolamento EC/974/98, con elevata probabilità di contenzioso e negative ripercussioni di carattere reputazionale presso i potenziali sottoscrittori dei titoli di debito pubblico.“
Secondo questa impostazione, l’emissione di minibot (o moneta fiscale) costituirebbe l’emissione di moneta vera e propria; ciò in ragione anche del fatto che questi titoli sono privi di interessi e non hanno scadenza. Di conseguenza, si creerebbero numerosi contenziosi, a livello comunitario ma anche interno, tali da rendere malsicura la circolazione dei minibot.
A parere di altri, invece, i minibot non sarebbero moneta emessa da una Banca Centrale ma – formalmente – titoli di debito pubblico sui generis, e dunque non violerebbero i trattati UE (nello specifico gli artt. 127 e 128 del TFUE), in quanto non avrebbero corso legale nella Repubblica Italiana, ma la loro circolazione ed accettazione come mezzo di pagamento sarebbe basata unicamente sulla volontarietà, non essendo obbligatorio accettarli come mezzo di pagamento. I minibot, infatti, si baserebbero sulla volontarietà delle persone nell’utilizzarli come moneta legale, e cioè come mezzo di pagamento in luogo della moneta avente corso legale (caratteristica che è propria di qualsiasi titolo di credito, tra cui gli assegni circolari e le cambiali). Sicché il rifiuto di utilizzarli come mezzo di pagamento non darebbe nemmeno luogo alla sanzione amministrativa prevista dall’art. 693 del C.P. italiano, il quale dispone che “chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con la sanzione amministrativa fino a trenta euro”. Di conseguenza, ai minibot non si applicherebbe la disciplina codicistica di cui all’art. 1277 C.C. italiano, secondo la quale “i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale”.
Tali autori ricordano anche che i titoli del debito pubblico sono interamente sottratti alla disciplina civilistica (i.e. art. 2001, co. 2, C.C.). Dunque, non si potrebbero applicare ad essi le regole proprie del diritto civile, ed in particolare la disciplina sull’adempimento del debito e quella sui titoli di credito, ex art. 1992 C.C. e ss. Inoltre, non sarebbe affatto escluso che lo Stato possa emettere titoli del debito pubblico privi di interesse e senza scadenza, come sarebbe appunto il caso dei minibot.
Infine, a parere dei sostenitori dei minibot, la compatibilità di questi con i vincoli del Trattato UE di Maastricht del 1992 sarebbe accertata dal fatto che i minibot non incrementerebbero il cosiddetto “Maastricht Debt”, cioè non inciderebbero negativamente sui vincoli di bilancio ivi previsti; ciò in ragione del fatto che i minibot rappresenterebbero un debito già contratto da parte dello Stato, e non creerebbero dunque nuovo debito.
Come qui brevemente sintetizzato, la questione circa la legittimità formale giuridica dei minibot è complessa ed i punti di vista in merito tra i giuristi sono tutt’altro che unanimi.
Daniele Bracchi
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