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L’offensiva israeliana contro l’Iran e la convergenza sunnita

Prosegue senza sosta l’offensiva israeliana nei confronti dell’Iran, e se ancora, di fatto, non è una guerra frontale, essa costituisce una risposta molto chiara al tentativo neo-imperale iraniano di costruire una sua rappresentanza che da Teheran si estenda all’Libano, alla Siria, all’Iraq e allo Yemen.

I recenti bombardamenti in Iraq, pur non rivendicati ufficialmente da Gerusalemme, indicano che sono stati condotti dallo Stato ebraico. L’ultimo in ordine di tempo in Siria, avvenuto sabato 24 agosto per sventare un supposto attacco di droni esplosivi su Israele, ha avuto il suggello del Ministro per la protezione dell’Ambiente, Ze’ev Elikin, il quale ha dichiarato, “L’Iran non dovrà sentirsi al sicuro da nessuna parte”.

Non ci sarà dunque tregua tra i due paesi e non può esserci. Per Israele, impedire la costruzione di un dispiegamento tentacolare sciita in Medioriente sotto l’egida di Ali Khamenei e gestito dalla Guardia Rivoluzionaria Islamica di Qassem Soleimani, è un non possumus irrinunciabile. D’altro canto, l’Iran difficilmente rinuncerà alla propria ambizione nella quale investe un enorme ammontare di denaro, e non lo farà perché l’espansionismo iraniano è uno dei cardini ideologici della rivoluzione del ’79. Come sottolinea Matthias Küntzel, tra i maggiori esperti internazionali di Iran e jihadismo,

“Ali Khamenei descrive la rivoluzione islamica come ‘il punto di svolta nella storia moderna del mondo’ e aggiunge, ‘Il nostro movimento storico sta creando una nuova civiltà’. La creazione di questa nuova civiltà dipende, come sempre, dall’annichilimento dei suoi nemici, in questo caso Israele e gli Stati Uniti. A prescindere dal pragmatismo quotidiano, la politica estera iraniana è ancora ispirata da questa aspettativa fondata su una presunta superiorità spirituale”.[1]

Dietro Israele, testa di ponte delle operazioni di sabotaggio e disarticolazione del disegno egemonico iraniano, si allineano gli Stati sunniti, con in testa l’Arabia Saudita ormai a guida del rampante e spregiudicato Mohammed Bin Salman. Convergenza inedita, appoggiata esplicitamente dall’amministrazione Trump e unicamente finalizzata a una finalità, bloccare l’ascesa del nemico più temibile.

L’attuale realpolitik impone infatti all’Arabia Saudita e agli emirati arabi una maggiore distensione dei rapporti con Israele, tuttavia sarebbe un abbaglio pensare che una volta che l’Iran non dovesse più rappresentare una minaccia regionale il rapporto tra il mondo arabo e Israele perdurerebbe senza attriti. Basterebbe dare un’occhiata a diversi dei titoli esposti all’ attuale fiera internazionale del libro di Riad, dove, in mezzo a libri esplicitamente antisionisti campeggiano diverse edizioni del Mein Kampf.

La necessità vitale di Israele di contenere l’Iran è dunque un’occasione assai propizia per chi preferisce, al momento, mostrarsi conciliante avendo abbandonato nelle retrovie (non da ora, ma da almeno un decennio) la cosiddetta “causa palestinese”.

Ciò che va tenuto sempre ben presente in una regione instabile come il Medioriente è che la spregiudicatezza delle convergenze e delle alleanze è sempre necessariamente instabile e contingente.


Niram Ferretti

[1] Niram Ferretti, La bomba e la guerra santa: Una intervista con Matthias Küntzel, L’Informale, 19 settembre 2017

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