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Le ragioni del proporzionale contro l'emotività del taglio alle poltrone

Aggiornamento: 11 mar 2022

La riduzione del numero dei parlamentari è una misura sbagliata, fatta nel momento sbagliato, pensata per ragioni sbagliate. Il taglio delle poltrone è naturalmente inteso a gratificare la Vandea dell'antipolitica e un elettorato in piena deriva populista. Ma la concessione alle emozioni viene al costo di penalizzare la ragione, svilire la rappresentatività democratica e allontanare ulteriormente il Palazzo dagli elettori. Ciò nonostante, nella proposta di riforma non tutto è sbagliato; il ritorno al sistema elettorale proporzionale è invece da sostenere.

Il Patto Segni, che ha introdotto, in Italia un maggioritario equivoco, basato non – come nei paesi anglosassoni – sul bipartitismo ma su un assurdo bipolarismo ha demolito l'accordo di legittimazione reciproca tra forze politiche su cui si basava la c.d. Prima Repubblica. Ad una coalizione di governo ne ha sostituite due, agli estremi dello spettro politico, cristallizzando la politica nella terra di nessuno. In maniera correlata, altrettanti danni ha prodotto l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. La transizione tra Prima e Seconda Repubblica non si è completata lasciando il paese diviso e in un limbo, nel quale lesti si sono inseriti prima il partito-azienda e poi l'antipolitica. Il maggioritario del bipolarismo ha fatto emergere tutta l'impreparazione del paese. In Italia si sono amplificate le degenerazioni prodotte dai protagonismi individuali che hanno messo al centro della politica nomi e volti anziché principii, programmi e proposte.

Gran parte delle colpe va indubitabilmente ascritta a Silvio Berlusconi, ma una volta sdoganato il populismo – cioè il rapporto diretto e carismatico tra leader e popolo - gli altri protagonisti della politica si sono adeguati. La politica dei nomi, al contrario della politica dei partiti, ha incoraggiato il Cesarismo e soppresso i rapporti con i corpi intermedi. Di conseguenza, l'elettorato è diventato massa; i partiti cartelli elettorali, i media giocatori in campo invece che arbitri. Tutto questo non è stato un bene. Si è impoverita la partecipazione democratica, ormai ridotta all'iscrizione su piattaforme digitali, selfie e like. Questa politica non è sostanza e contenuto ma tifo organizzato.

Un'altra ragione che impone il ritorno al proporzionale è la scarsa rappresentatività del maggioritario. La percentuale di votanti alle elezioni continua ad erodersi ed è attestata sulla deprimente quota di metà degli aventi diritto (alle elezioni europee di maggio 2019 ha votato il 54% degli aventi diritto). Di conseguenza, chi oggi, in vigenza di Rosatellum, riesce a raggiungere il 40% che fa scattare il premio di maggioranza, ha di fatto il consenso del 20% del corpo elettorale. In democrazia, questa figura è troppo bassa per legittimare la conquista della maggioranza assoluta in parlamento, e della relativa capacità di influenzare gli equilibri di altri organi istituzionali (Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale, CSM, Autorità di vigilanza) che hanno anche funzioni di controllo e di garanzia, e l'occupazione della Rai. Gli astenuti chiaramente non sostengono la maggioranza, anche se c'è sempre qualcuno che ritiene di poter parlare a nome e per conto degli “italiani”.

La politica del proporzionale impone alle forze politiche di saper stare con gli altri, parlare, confrontarsi, convincere e identificare le convergenze necessarie a formare coalizioni di governo, senza consegnare la politica nelle mani del padrone del vapore. Il Papa Re e il Duce sono stati consegnati e alla storia. Dell'uomo forte non si sente il bisogno. E' preferibile la forza delle idee.


Redazione Italia Atlantica

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