Il dibattito sui meccanismi di risoluzione delle crisi del debito sovrano non è nuovo, ma è stato finora contenuto nei confini accademici. Tuttavia, la discussione in corso sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) ha reso il tema di stretta attualità politica. Già nel Dicembre 2018, in pieno governo grilloleghista si era notato che la proposta di riforma del MES, in linea con un vecchio progetto di Wofgang Schauble, sembrava avere un solo possibile destinatario, l'Italia, per prepararne un commissariamento. Le medesime considerazioni sono ancora applicabili.
Due aspetti, in particolare, meritano una risposta: le clausole di azione collettiva (CACs) – nella formulazione "single limb" (cioè applicabili a tutto il debito circolante e non a ciascuna singola emissione) - e l'automatismo della ristrutturazione del debito in caso di assistenza finanziaria da parte del MES. Dal punto di vista accademico, l'introduzione di una procedura formalizzata di insolvenza nel trattato MES non è auspicabile. Essa ha infatti il potenziale di generare ulteriore instabilità. Le obbligazioni sovrane prezzano un rischio esplicito, il rischio di default dell'emittente; e un rischio implicito: una procedura di ristrutturazione del debito, in caso di difficoltà, negoziata tra debitore e creditori. L'introduzione di single-limb CACs nel meccanismo introduce un rischio di ristrutturazione "ostile". Attraverso la possibilità di eseguire una ristrutturazione superando l'opposizione degli investitori, questi ultimi vedono diluiti i propri diritti di governance e le proprie tutele. Di conseguenza, da un lato, è prevedibile un aumento del premio per il rischio, che andrebbe incorporato nei rendimenti. Dall'altro è rilevabile una distorsione nel pricing del bond. Lasciare che il negoziato tra debitore e creditori determini l'ammontare di un haircut al contrario non pregiudica il processo di price discovery. L'effetto netto della riforma è dunque un doom loop tra fragilità finanziaria e aumento del cost of funding, generando maggiore fragilità finanziaria. Il miglior approccio alla ristrutturazione del debito sovrano è l'incertezza costruttiva. E' possibile inoltre rilevare un profilo di incostituzionalità con riferimento all'art.47 della Costituzione. La dispersione del debito tra la platea degli investitori potrebbe in ipotesi risultare in una ristrutturazione del debito anche contro la volontà ipotetica del 100% degli investitori retail in pregiudizio alla tutela del risparmio costituzionalmente garantita.
Emanuele Canegrati
Emanuele è Senior Economist di BP Prime. Ha conseguito un dottorato in Economia presso l'Università Cattolica di Milano. È stato Visiting Fellow alla London School of Economics e al Luxembourg Income Study Office. È faculty member della Liechtenstein Academy Foundation, membro del comitato scientifico della Fondazione Magna Carta ed ex Young Fellow dell'Adam Smith Institute di Londra. Ha lavorato come economista presso il Parlamento italiano, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e il Ministero dello Sviluppo Economico. È visiting professor di Economia presso l'Università di Roma LUISS e l'Università di Roma La Sapienza. Ha scritto numerosi saggi sulla finanza pubblica e privata ed è relatore in diverse conferenze internazionali. Le sue analisi per BP Prime sono riportate da Bloomberg e The Guardian.
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