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Pilum mutat non mores: le responsabilità della Cina

Aggiornamento: 11 mar 2022

La Regina ha parlato. E il messaggio di Sua Maestà - pur essendo diretto al Regno Unito e al Commonwealth - è riverberato in tutto il mondo. Pochi, se non nessuno, dei leader del pianeta possono parlare con l'esperienza, la conoscenza, la generosità e l'autorità della Regina. A 94 anni, il suo inscalfibile impegno per la leadership, il servizio e l'unità, sono esemplari di un senso del dovere fondato nella storia. La Regina ha sollevato il morale della nazione con il ricordo dell’ora più buia durante la II guerra mondiale e la promessa di un a presto arrivederci.

Contemporaneamente, il governo ha iniziato a discutere sull'allentamento del lockdown per limitare le ricadute economiche e democratiche della risposta alla pandemia. Il Tesoro ha fatto sapere che se l'isolamento dovesse durare troppo a lungo non sarebbe possibile prevenire fallimenti a catena tra le imprese. Separatamente, i consiglieri scientifici hanno allertato Downing Street sul fatto che un’ulteriore stretta, con l'adozione di misure più severe potrebbe provocare una seconda epidemia di coronavirus nel corso dell'anno. Il rapporto del gruppo di consulenza scientifica per le emergenze (Sage), suggerisce che un blocco più rigoroso non farebbe altro che ritardare il picco del virus e prolungare il dissesto dell’economia e delle libertà. Il Tesoro, per la parte economica, e il Sage, per la parte scientifica, emanano dunque una convergente raccomandazione per uscire dal lockdown gradualmente, in tre fasi, come nei semafori stradali, dal rosso al giallo al verde, per rendere chiaro a tutti il senso della direzione. Mentre Boris Johnson è ancora ricoverato in terapia intensiva, l’onere della decisione cadrà su Dominic Raab, che secondo la road map stabilita dal Primo Ministro, andrà presa il lunedi di Pasqua.

Mentre l’elusivo picco del contagio è vicino a raggiungere le soglie previste dai modelli epidemiologici, le responsabilità della Cina nella diffusione della pandemia sono diventate palesi e provate. Pechino ha orchestrato un insabbiamento di stato per celare la natura, la portata e l’infettività del virus al mondo. La Henry Jackson Society ha pubblicato un dettagliato rapporto sulla gestione della crisi da parte della Cina, suggerendo azioni legali contro Pechino per “violazioni manifeste” del Regolamento sanitario internazionale, per un totale di 3200 miliardi di sterline. Il Rsi (2005) è la normativa vincolante a livello internazionale che impone obblighi agli Stati membri nella gestione delle questioni sanitarie e, in particolare, nella gestione delle malattie altamente trasmissibili. Era stato adottato all'indomani dell'epidemia di Sars del 2003, quando la Cina venne criticata per non aver fornito informazioni adeguate. Evidentemente, pilum mutat non mores. Alle medesime conlusioni è giunta l’intelligence Usa. Secondo un rapporto riservato per la Casa Bianca citato da Bloomberg “esistono prove che la Cina ha nascosto la reale dimensione dell’epidemia di coronavirus, sottostimando deliberatamente sia il numero di casi di infezione rilevati che il numero dei decessi”. Le sanzioni avverso la violazione delle norme del Rsi sono attivabili sia attraverso la giurisdizione della Corte di giustizia internazionale, sia attraverso i meccanismi di risoluzione delle controversie dell'Oms. Ma proprio l’Oms è finita sul banco degli imputati accanto alla Cina. Il Presidente Donald Trump si è scagliato contro il comitato per le emergenze, e ha minacciato di congelare i fondi Usa all’organizzazione, accusandola di essersi piegata alle pressioni di Pechino per promuovere la disinformazione. L’accusa principale formulata anche dal Wall Street Journal è un ritardo 10 giorni nel dichiarare l’emergenza sanitaria globale: secondo fonti riservate, i vertici dell’Oms, che pure avevano ricevuto precise informazioni sull’infettività del virus da parte di Taiwan, “hanno piegato la testa alle manovre della Rpc preoccupata per i danni all’economia e all’immagine della leadership comunista”.

La navigazione non è più tranquilla a Bruxelles. Il presidente del Consiglio Europeo per la Ricerca si è dimesso, frustrato della risposta dell'Ue alla pandemia di coronavirus. Mauro Ferrari, che era stato nominato il 1 gennaio con un mandato di quattro anni, ha citato la resistenza istituzionale e le lotte intestine burocratiche nelle complesse strutture della Commissione Ue alla sua proposta di un grande programma scientifico per combattere il coronavirus: "Sono arrivato al CER da fervente sostenitore dell'Ue, ma la crisi di covid-19 ha cambiato completamente il mio punto di vista".

Il coronavirus non ferma Brexit. Il negoziatore capo britannico, David Frost, ha comunicato che le trattative continuano dietro le quinte. Ha affermato che le due parti hanno deciso di concordare il calendario delle discussioni di aprile e maggio. Dopo l'emergenza covid-19, Bruxelles non può permettersi uno shock commerciale alla fine dell’anno, ma non bisogna sottovalutare l'istinto suicida di questa Ue. Brutta bestia l'ideologia.


Redazione Italia Atlantica


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