Negli ultimi 2 decenni, l’Italia ha goffamente perduto la capacità di fare politica estera. Affidandosi completamente al multilateralismo ha smarrito il senso delle relazioni bilaterali. E’ accaduto così che la confortevole appartenenza all’Ue ha lasciato deperire le relazioni bilaterali con l’Uk; e la militanza nella NATO ha diluito le relazioni bilaterali con gli Usa.
Quando l’inedito governo grilloleghista si è abbandonato alla Vandea filorussa e ha assecondato la deriva filocinese, si è giunti al disastro. Certificato. Lo strappo di Roma sull’adesione alla BRI ha provocato l’allarmata reazione pubblica del Nsc Usa. Ovviamente, nulla è definitivo in politica, ma prima che il danno diventi permanente, è necessario porre la politica estera in cima all’agenda di governo e mettere in sicurezza la collocazione internazionale dell’Italia. In questo senso, la bussola a Roma non può che puntare in tre direzioni: Washington DC, Londra e Tel Aviv.
Nel paradigma degli equilibri geostrategici e delle sfide tra nazioni che emerge dal nuovo (dis)ordine mondiale, si evidenziano tre assi. Il primo, l’asse Roma-Londra è una cerniera indispensabile ai nuovi crocevia del mondo e una diga contro le minacce globali. Esiste un primo fronte di crisi sulla linea di confine tra Nord e Sud del mondo. Questa frontiera, che corre lungo le acque territoriali italiane, è la prima linea di difesa per l’Europa contro l’instabilità del Medio Oriente e dalle minacce ad esso conseguenti: l’immigrazione incontrollata e il terrorismo islamico. Esiste poi un secondo fronte di crisi sulla linea di confine tra Est e Ovest del mondo, generato da politiche commerciali predatorie cinesi e dalla crescente espansione della sfera d’influenza militare russa. L’Italia è al centro dei due nodi.
Dalla Cina vengono, cinicamente miscelate dalla leadership comunista, attraenti opportunità di commercio e preoccupanti minacce politiche. Recentemente, l’affaire Huawei ha mostrato il rischio di aprire al commercio con la Cina per rimanere esposti a spionaggio tecnologico su vasta scala. Dalla Russia viene la periodica suggestione Eurasia. La partita con Mosca è giocata sulla dipendenza energetica. Ma l’Italia ha in Puglia il terminale di ben 2 gasdotti. Il primo, il TAP, porta in Europa il gas naturale liquefatto estratto dal Mar Caspio. Il TAP garantisce la diversificazione e la sicurezza delle fonti di approvvigionamento energetico, riducendo la dipendenza attuale dal gigante russo Gazprom.
In Ue, le Repubbliche baltiche, i Paesi scandinavi, la Repubblica Ceca e la Bulgaria comprano da Gazprom tutto, o quasi tutto, il fabbisogno di gas. Il 50% del gas utilizzato in Polonia, Slovacchia, Austria e Grecia è russo, ma è molto sfruttato anche da Germania, Belgio, Ungheria e Croazia, oltre il 25%. John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale Usa, ha più volte affermato che «l’Europa non deve dipendere dagli umori russi per il fabbisogno energetico» ed è importante che proprio l’Italia sia nelle condizioni di poter risolvere un problema strategico agli Usa rafforzando l’asse con Washinton DC. L’altro progetto energetico è EastMed, una conduttura sottomarina di 2 mila kilometri, su cui viaggerà il gas estratto dai giacimenti israeliani (e ciprioti) nel Levante che, passando dall’isola di Creta e dall’entroterra greco, approda al largo di Otranto.
L’asse con Tel Aviv è il terzo pilastro della strategia. Come sottolineato da Yuval Steinitz, ministro israeliano per l’energia, EastMed «è strumentale a contenere l’influenza araba in Europa». L’Italia viene dunque a trovarsi in una posizione centrale agli equilibri internazionali: può contribuire a contenere l’influenza araba sul fronte Sud e l’influenza russa sul fronte Est, e può controllare la distribuzione delle produzioni cinesi in Europa. Nel farlo, ribadisce le alleanze geopolitiche con Us, Uk e Israele. Raramente i 4 paesi (sulla comunanza di valori non c’è dibattito) hanno mostrato maggiore comunanza di interessi e di destino.
Redazione Italia Atlantica
Comments