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Se Dublino scende a patti, l'accordo Brexit è più vicino

Aggiornamento: 11 mar 2022

Stavolta, davanti a Golìa, Davide ha fatto un passo indietro. Dopo aver fatto fuoco e fiamme sulla proposta “Due Confini Quattro Anni”, Leo Varadkar si è arreso alla ragione. “Un accordo Brexit entro il 31 ottobre è assolutamente possibile”, ha detto il Taoiseach, aggiungendo: “vedo una svolta dell'ultimo minuto all'orizzonte”. Dopo tre ore di riunione in un albergo nel Nord-Est dell’Inghilterra, Boris Johnson e Leo Varadkar hanno rilasciato una dichiarazione congiunta: “le parti ravvisano un percorso verso un accordo". L’impasse è stata sbloccata ancora una volta da una mossa di Boris Johnson. Da fonti di Dublino è stato fatto trapelare che il Primo Ministro si appresta a fare concessioni sulla permanenza dell'Irlanda del Nord in un'unione doganale ad hoc con l'UE. La partita si gioca ora a Bruxelles. Secondo fonti UE, il commissario Michel Barnier valuterà se sono stati compiuti progressi sufficienti per giustificare l'intensificazione dei negoziati Brexit in vista del vertice UE della prossima settimana. In caso positivo, i negoziati entreranno nel cosiddetto "tunnel", colloqui dettagliati che potrebbero portare alla conclusione di un accordo in tempo per il Consiglio europeo della prossima settimana.

I mercati credono in un accordo. A margine del bilaterale anglo-irlandese, la sterlina britannica si è rafforzata contro il dollaro USA e ha registrato il suo maggiore guadagno giornaliero in sette mesi, salendo dell'1,9% contro il dollaro, attestandosi a quota 1,2443.

Analogamente, l’economia britannica continua ad aiutare il percorso immaginato da Boris Johnson. I dati macro hanno registrato un forte aumento della crescita economica durante l'estate. L'Ufficio Nazionale di Statistica ha riportato che il PIL è aumentato dello 0,3% nei tre mesi giugno-agosto, sostenuto dalla forza del settore dei servizi finanziari e professionali e dal boom della produzione televisiva e cinematografica. In un contesto di crescente caos politico, il Regno Unito ha evitato la sua prima recessione dalla crisi finanziaria. Timori di una recessione tecnica - due trimestri consecutivi di contrazione - erano stati sollevati quando i dati macro di agosto avevano mostrato che l'economia aveva subito una contrazione inaspettata nel secondo trimestre, dello 0,2%. I dati sulla crescita per il terzo trimestre sono attesi per i primi di novembre.

La probabilità di un accordo è rafforzata dalla politica interna. Boris Johnson non può ottenere la maggioranza in una elezione generale a meno che non esegua la Brexit il 31 ottobre. Il Daily Telegraph ha rivelato i dati di un sondaggio ComRes, che è stato presentato la scorsa settimana ad un evento privato della conferenza Tory di Manchester. Mappando la reazione degli elettori a cinque diversi scenari Brexit, ComRes ha mostrato che i Tory avrebbero ottenuto la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni solo se l’UK avesse lasciato l'UE il 31 ottobre. Tuttavia, mostra anche il sondaggio, qualsiasi ritardo - anche se porta a al No Deal subito dopo l'elezione - produrrebbe un Parlamento senza alcuna maggioranza di lavoro.

Nel frattempo, anche la crisi costituzionale mostra segni di normalizzazione. L’Alta Corte scozzese ha deciso di non pronunciarsi sul fatto che Boris Johnson debba essere costretto a chiedere una proroga della Brexit a Bruxelles. Attivisti anti-Brexit avevano chiesto ai tre giudici, Lord Carloway, il Lord Presidente, Lord Brodie e Lord Drummond Young, di emettere ordinanze giudiziarie che obbligano Johnson a inviare una lettera all'UE come richiesto dalla Legge Benn. Tale legislazione impone al Primo Ministro di scrivere all'UE chiedendo una proroga fino al 31 gennaio se non riesce ad ottenere un accordo Brexit approvato da Westminster entro il 19 ottobre. Con un’altra mossa a sorpresa, Lord Carloway ha dichiarato che “le questioni sollevate dai ricorrenti erano così significative e sensibili al fattore tempo che la Corte non poteva pronunciarsi definitivamente sulla questione prima del 19 ottobre”.

Infine, Berlino. E’ sempre più evidente che la Germania non può stare a guardare mentre Londra esce senza accordo. Con 2 trimestri di contrazione consecutivi, la Germania è in recessione. Il settore servizi ha registrato il dato più basso in 5 anni e il settore manifatturiero è in lento ma costante declino. Il 20% delle esportazioni tedesche di auto viene venduto in UK, il mercato con i margini di profitto più elevati. Il No Deal potrebbe dimezzare le esportazioni totali verso il Regno Unito, secondo il rispettato IWH Institute, distruggendo le catene di approvvigionamento interno e costando 100.000 posti di lavoro.

Le cose sono peggiorate quando la settimana scorsa il WTO ha stabilito che il consorzio franco-tedesco Airbus ha ricevuto sovvenzioni illegali negli ultimi 15 anni, dando luce verde agli USA per imporre all'UE tariffe fino al 25% già da novembre. Gli shock conseguenziali sull'industria automobilistica tedesca costituiscono ora un problema serio. La combinazione di No Deal più le pesanti tariffe USA, potrebbe causare danni sistemici ad un settore vitale per l’economia tedesca e destabilizzare la zona euro.

E’ presumibile che anche a Bruxelles qualcuno stia già facendo i conti con la realtà.


Redazione Italia Atlantica

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