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Tregua nella guerra dei chip tra Stati Uniti e Cina

  • Immagine del redattore: Italia Atlantica
    Italia Atlantica
  • 21 lug
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 6 ago

Nvidia può riprendere l’export dei suoi chip avanzati (ma limitati) in Cina: tentativo Usa di trovare un equilibrio tra blocco totale e accesso controllato, per mantenere il vantaggio tecnologico


La corporation statunitense dei microchip Nvidia, conosciuta soprattutto nel mondo dei videogames ma in realtà un vero e proprio impero commerciale che supera i 1.000 miliardi di dollari di capitalizzazione nella Borsa americana, rientra nel mercato cinese dei microprocessori ad elevate prestazioni, dopo il blocco imposto dal governo Usa lo scorso mese di aprile.

Ne ha dato notizia l’amministratore delegato, il leggendario Jensen Huang, nell’imminenza della sua partenza per il Celeste Impero, dove parteciperà al CISCE (China International Supply Chain Expo), il più importante salone nazionale dedicato alle catene di fornitura globali, che si svolge dal 16 al 20 luglio 2025, presso il China International Exhibition Center (Shunyi), di Pechino.


Misure anti-cinesi solo allentate

In realtà, a ben vedere i termini sottesi alla decisione di Washington, la vicenda è da leggere in chiaro-scuro. Infatti se è vero che sono state rilasciate alla corporation Nvidia le licenze per esportare il suo chip avanzato, l’H20, è altrettanto vero che la versione di quest’ultimo, dichiarata esportabile in Cina, è stata progettata con delle limitazioni funzionali, per rispettare i paletti imposti dal Bureau of Industry and Security (BIS) Usa.

In particolare, sono stati stabiliti limiti sulla capacità di calcolo per millimetro quadrato di silicio (Performance density) e sul rapporto tra velocità computazionale e larghezza di banda (Total processing performance).

Ma al di là delle specifiche tecniche, va detto, più in generale, che il chip H20sembra essere superiore, in termini di prestazioni, alla gran parte dei microprocessori attualmente impiegati in Cina; poiché il gap tra le due filiere produttive si va accorciando di giorno in giorno, ecco che gli Usa tentano di trovare un equilibrio tra blocco totale all’export della loro tecnologia e accesso controllato, nel tentativo di giocare la carta della dipendenza tecnologica.


Jensen Huang, il ceo di Nvidia

Nato in quel di Taiwan con il nome sinico di Jen Hsun, è emigrato negli Stati Uniti, con i genitori, a meno di dieci anni, cambiando poi il suo nome in Jensen Huang. Promessa mancata del ping pong, giovanissimo addetto alle pulizie nei bagni del fast food Denny’s, in un minuscolo e sperduto paesino del Kentucky, dopo aver studiato da ingegnere elettronico, nel 1993 proprio nel medesimo fast food, con Chris Malachowsky e Curtis Priem ha fondato Nvidia, di cui è da sempre amministratore delegato.

Detto “l’uomo con la giacca di pelle”, da cui non si separa mai da decenni in ogni uscita pubblica, è l’emblema stesso del capitalismo digitale a stelle e strisce, caratterizzato da accelerazioni estreme e competizione feroce sempre sull’orlo del fallimento. La figura di Jensen Huang è inoltre il simbolo di un uomo in bilico tra due mondi: realizzatosi come imprenditore visionario in Occidente, ha il suo mercato più grande in Cina dove si reca sovente e dove quest’anno è già al terzo viaggio ufficiale.


Gli scenari della guerra tecnologica Usa-Cina

La guerra tecnologica tra Cina e Stati Uniti, in atto ormai da anni, ha nella supply chain dei microprocessori uno dei suoi fronti più delicati e strategici. Questo conflitto non è solo economico ma è soprattutto geopolitico poiché riguarda la ricerca della supremazia tecnologica nei settori più avanzati, primo tra tutti quello dell’Intelligenza Artificiale.

Da quando la competizione sino-americana è iniziata, diversi anni orsono, i due contendenti si sono scambiati colpi non indifferenti, a suon di bandi commerciali e divieti di esportazione. Hanno iniziato gli Usa, vietando alle aziende del loro Paese, Nvidia in testa, di fornire a Pechino i microchip ad alte prestazioni ed hanno poi continuato facendo pressione su alcuni governi alleati (Olanda, Giappone e Taiwan) per osteggiare la Cina in altri segmenti, costituenti la complessa supply chain alla base dei microprocessori.

La risposta del governo cinese non tardava ad arrivare, sotto forma del blocco all’export verso gli Usa dei minerali strategici, le c.d. terre rare indispensabili per i chip, di cui Pechino detiene il primato sia nell’estrazione che nella raffinazione.


Conclusioni

Nell’attuale scenario di serrato confronto tecnologico e industriale per l’egemonia planetaria, il parziale allentamento delle restrizioni all’export, deciso dagli Usa, rappresenta senza dubbio un segnale distensivo verso il rivale asiatico, in un momento in cui l’amministrazione Trump è impegnata in un severo braccio di ferro con l’Unione europea.

Non va però scambiato per un cedimento alle pressioni cinesi ma è solo una mossa tattica nella lunga partita a scacchi che vede contrapposte le due tecno-potenze. Si tratta, infatti, di un passaggio che si inserisce in una più ampia strategia definibile come “accesso controllato all’innovazione”: fornire a Pechino chip “limitati” con l’obiettivo di mantenere il vantaggio tecnologico Usa, nel breve-medio periodo, evitando che la Cina si concentri nella ricerca su modelli più avanzati di microchip e tentando di alimentare una dipendenza tecnologica.

Da non trascurare la particolare posizione della tecno-corporation, Nvidia che, seppure totalmente privata, è considerata un asset strategico nazionale; una sua uscita dal fondamentale mercato cinese rischierebbe di rafforzare, a livello globale, i suoi concorrenti diretti, prima fra tutte la cinese Huawei. E questo non è certo auspicabile nelle stanze dei bottoni della Casa Bianca e del Pentagono.

 
 
 

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