top of page
Cerca
  • angelomucci

Intelligenza collettiva: intelligence e politica.






L’idea di intelligenza collettiva viene fatta risalire al teorema della giuria (1785) di Nicolas de Condorcet (Trattato sull'Applicazione dell'Analisi alla Probabilità delle Decisioni a Maggioranza). Lo studioso giustificò la necessità di un principio maggioritario che dovrebbe sempre caratterizzare i governi democratici; egli sosteneva infatti che se in un gruppo democratico aumentassero le persone con buona possibilità di prendere decisioni giuste, sarebbe cresciuta anche la probabilità di arrivare alla soluzione migliore.

Successivamente, nell’800 fu Karl Marx a teorizzare l’esistenza di una intelligenza non meramente individuale ma posta al di sopra del singolo, con il concetto di general intellect (Grundrisse tra il 1857-1858). Veniva così individuavo un genere di lavoro astratto, di tipo sociale, le cui basi affondavano nella conoscenza impersonale insita nella società stessa e nel retroterra culturale in cui si trovano ad operare i singoli individui; era in sintesi una forza lavoro cognitiva e mentale che esprimeva le capacità creative collettive, da riverberare poi nel sapere che si cumulava nella società.

Nel 900 alcuni studiosi (tra cui l'entomologo William Morton Wheeler) intuirono come gli individui apparentemente indipendenti possono in realtà collaborare tanto strettamente da divenire indistinguibili da un unico organismo, fino a sviluppare un comportamento sociale.

In generale (come nel pensiero del sociologo Wheeler, Émile Durkheim) si diffuse così l’idea che la società non fosse semplicemente il frutto di un contratto tra individui liberi ed uguali ma, una realtà, di una necessità sui generis che precede gli individui e rende possibili gli accordi tra di loro.

Chiarita l’esistenza di una forma di intelligenza collettiva, le teorie brevemente richiamate hanno avuto anche l’ulteriore pregio di porre le basi per la comprensione del ruolo dell’intelligence nella politica delle democrazie occidentali - e precisamente sul comportamento sociale esistente tra intelligence, un’attività con 35 secoli di storia documentata, potere politico e segreto[1] - sulla scorta del fatto che l’informazione dovrebbe sempre girare poco e, nel mentre, alimentare un certo grado di fiducia.

In effetti il problema delle informazioni (tra fake news e good news moderne) è idoneo oggi per sé a generare una qualsivoglia reazione dell’opinione pubblica in funzione del livello culturale raggiunto dalla collettività in quel momento. Di qui anche l’importanza della gestione delle informazioni all’interno di contesti sociali complessi, primi fra tutti gli Stati ora come entità democratiche e liberali ora come regimi totalitari ed estremisti.

Emblematico è stato l’effetto procurato dalla vicenda della società di analisi delle campagne elettorali Cambridge Analytica la quale dichiarava “each person is a data”). Così come è chiaro il ruolo delle intelligenze politiche nei dissidi arabi sin dal 1930-1940, attività divise tra funzionari che intendevano “arricchire” i propri rapporti allo scopo di convincere i propri “clienti” (politici) della loro esattezza e quanti ritenevano invece di dover operare secondo criteri scientifici.

E’ sicuramente evidente l’importanza dell’esercizio di forme di intelligenza collettiva per fini politici, istituzionali e militari in qualsiasi forma di governo; così come è certa l’esigenza di un controllo di questa intelligenza in divenire.

Il fulcro del sistema collettivo risiederebbe proprio nell’importanza della cultura e dell’istruzione del contesto quali unici mezzi capaci di costruire sinergie, perché l’intelligenza collettiva si sviluppa proprio attraverso catene coordinate in costante miglioramento, mediante la strategia del dialogo (fatto peraltro confermato in tutti i campi scientifici dalla nota teoria della augmented intelligence).

Essa si basa infatti sullo sviluppo gerarchico di processi e capacità di apprendimento; qui le fonti di intelligence si distribuiscono da un livello alto ad uno via via più basso e più puntuale, preciso e dettagliato. Un processo, questo, naturale per la comprensione e l’evoluzione di un’organizzazione, fondato appunto sulla sinergia, ovvero sulla cooperazione di soggetti il cui effetto finale sarà certamente maggiore della somma delle parti (Webster’s Unabridged Dictionary).

La diffusione delle informazioni è un’ulteriore aspetto assai rilevante. Gli amplificatori dell’intelligence sono infatti le capacità intellettuali che pervadono i più alti livelli dell’architettura delle sinergie anzidette. Questo è il motivo per il quale l’analisi di un contesto di crisi attraverso le scienze sociali deve tendere all’obbiettività, nel rispetto delle fasi dello sviluppo di un’intelligenza - sia essa individuale che collettiva - quali precisi momenti dell’evoluzione sociale:

1) la prima fase, quella della manipolazione non simbolica (il pensiero della situazione in astratto),

2) la fase simbolica della manipolazione (la scrittura e la parola),

3) la finale fase dell’esternalizzazione della manipolazione simbolica (la rappresentazione geografica).

[Sul punto si veda Douglas C. Engelbart (1962) in “Augmenting Human Intellect. A Conceptual Framework”.]

In effetti, in una democrazia ogni giorno l’informazione collettiva va verificata e discussa, nella convinzione che l’intelligence sia materia intrinsecamente politica. E solo il politico può essere il giudice del corretto uso dell’intelligence. Dunque mai un magistrato, mai una corte[2].

L’esperienza dei Paesi Arabi, da Israele, alla Palestina, dall’Iran all’Afghanistan e, più in generale, dalla colonizzazione anglofona a quella sovietica (dagli inizi del 1900 al 1992), ha dimostrato l’importanza dell’informazione e della cultura politica in queste aree, spesso compromessa da poteri esterni; aree nelle quali, come diretta conseguenza, si è concentrata la massima expertise storica in tema di intelligence. E’ altresì a tutti noto che predetti Stati non abbiano goduto ancora di simili profonde esperienze di intelligence che avrebbero senza alcun dubbio favorito l’alternanza di potere: di fatto, l’informazione collettiva rappresenta l’unico strumento moderno capace di veicolare concretamente le informazioni per necessità interne.

Una comune esperienza desumibile è comunque una soltanto, della quale tutti dovremmo far tesoro: occorrerebbe cioè ridurre le aree del segreto affinché possano essere serviti esclusivamente gli interessi nazionali. Un’informazione di pochi, specie se in paesi a bassa scolarizzazione e senza un libero governo dell’Istruzione, è certamente il principale vincolo per la diffusione e l’instaurazione di regimi democratici e liberali.

In sintesi, tanto nei paesi democratici liberali occidentali quanto nei contesti di crisi interna nazionale sarà sempre valida la seguente osservazione: “Il politico è statista [soltanto] quando usa l’intelligence”.

[1] Il segreto sta nel nucleo interno del potere; il segreto è la dimensione del potere (cit.). [2] Prefetto Adriano Soi in intelligence collettiva.


Angelo Mucci

0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page