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  • Immagine del redattoreItalia Atlantica

Mario Draghi è il nome per un governo di unità nazionale

I primi effetti "energizzanti" della cura Draghi si sono avertiti nella posizione italiana al Consiglio Europeo: il PCM ha rifiutato l’intervento del MES, che - Timeo Danaos et dona ferentes - viene in aiuto al prezzo di dure condizionalità future; e chiesto, nel termine di 10 giorni, un'ipotesi di Coronabond, mirato al finanziamento di investimenti intesi a contenere gli effetti dell'attuale crisi, cioè ben altro dalla mutualizzazione del debito pregresso che l'Italia continuerà ad onorare con risorse proprie, come ha fatto sinora.

Mario Draghi aveva appena rotto il silenzio con un composto editoriale sul Financial Times. E lo aveva fatto alla sua maniera: lucido, autorevole, credibile. In risposta, nei mercati si è manifestato, quasi istantaneamente, l’effetto Draghi e a Palazzo Chigi si è irradiata la forza della kryptonite. Mentre il mondo si confronta con una crisi economica senza precedenti per scala, effetti e magnitudine, uno scritto di Draghi è insomma più efficace di un’azione di governo intrappolata nel fuoco incrociato di tre parti: il protettorato interessato di Emmanuel Macron, il ringhio dei rigoristi neoanseatici e le frustate dello spread.

Ma ora è necessario che la stimata figura di Draghi non venga dilapidata dalla politica di bassa cucina. A partire dalle sortite di chi lo indica suggerendogli nel contempo la ricetta da impartire al Paese. Come il capo di un qualificato governo tecnico che, in tempi recenti, ha bruciato la sua credibilità asservito ad una politica fiscale ancora più rigorista di quella pretesa dalla rigorista Germania.

Al contrario, e mi sembra significativo, l’intervento di Draghi sul Financial Times chiarisce che qualcosa è cambiato e il cambiamento sarà duraturo: il futuro sarà caratterizzato da alti livelli di debito pubblico per consentire al sistema produttivo di ricostruire l’economia lasciata in macerie dalla pandemia.

L’Ue è ad una giuntura critica della sua storia. Quando anche i signori Mark Rutte, Peter Altmaier e qualche alieno finlandese e lettone si renderanno conto che la posta in gioco è la tenuta non solo dell'Eurozona (che in effetti loro preferirebbero sostituire con una super-eurozona cioè una area del marco) ma della stessa Unione Europea, cui la Francia e la Germania tengono per evidenti esigenze geopolitiche nella competizione globale, forse l'adozione di strumenti innovativi europei sarà la risultante di una dinamica condivisa e non di un'isolata ed intempestiva richiesta del solito "paziente italiano".

La politica di Germania, Olanda e Finlandia può provocare una reazione a livello mondiale, USA in testa. Gli investitori internazionali detentori di euro per migliaia di miliardi potrebbero prezzare nei rendimenti un default italiano – ormai non a rischio zero – e far saltare l'euro. La Bce da sola è arrivata alla linea rossa: se per fornire sostegno alle economie periferiche dovesse superare il limite statutario del 33% alla detenzione relativa di bond di un solo Stato membro, essa diverrebbe una minoranza di veto a qualunque ristrutturazione del debito; di conseguenza, il bazooka della politica monetaria espansiva verrebbe definitivamente disinnescato e la credibilità dell’Eurotower compromessa per sempre.

Eurobond, coronabond, interventi del MES senza condizionalità sono opportunità per sviluppare una politica fiscale comunitaria e correggere gli squilibri interni dell’Eurozona. Gli strumenti di spesa pubblica non devono essere interpretati come successi italiani, ma come la dimostrazione che la Germania va portata in una politica di solidarietà europea agganciata ad una politica Atlantica.

Invece, truppe russe sfilano per 600 Km da Pratica di mare a Bergamo, sul suolo di un Paese Nato, fornendo una occasione di propaganda a Vladimr Putin, in un momento di confronto strategico con gli USA. La politica, cioè, non dispone della statura internazionale per gestire la ricostruzione post-emergenziale, né la credibilità per attirare investimenti.

Mario Draghi possiede entrambe ed è uomo di unità nazionale. Draghi è capace di comprendere benefici e limiti della finanza speculativa e contrastare la politica assurdamente rigorista tedesca, come ha fatto per 8 anni alla guida della Bce.

Ricorre il 125mo anniversario della fondazione del Partito repubblicano italiano, il più antico partito nel Paese, ancorato alla storia risorgimentale e repubblicana. Draghi impersonifica lo spirito della Repubblica: un patto sociale con regole condivise per il perseguimento dell’interesse nazionale.

In questo lo vedo - per quello che ha fatto, che può fare e che farà per l’Italia - un Repubblicano, e per questo mi auguro che possa con generosità assumersi ogni responsabilità a cui il Paese unito lo possa chiamare.


Corrado de Rinaldis Saponaro

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