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Una proposta per il risanamento del sistema pensionistico italiano.





Con 23 milioni di pensionati e altrettanti lavoratori i conti INPS sono sull’orlo del dissesto, anche perché con un sistema senza capitalizzazione ma esclusivamente a ripartizione le risorse finanziarie dell'ente previdenziale italiano restano attualmente vincolate alle uscite correnti, senza consentire investimenti remunerativi per l'Istituto.

Occorre quindi urgentemente ripensare al modello finanziario dell'INPS, posto che la previdenza obbligatoria macina oggi miliardi di euro di contributi versati dai lavoratori che non rendono un euro perché vincolati a pagare esclusivamente le pensioni periodiche. Insomma: un bilancio di cassa o finanziario che non rende né per lo Stato né per il privato. E tantomeno può garantire una gestione corrente efficiente, se non altro alla luce della ripartizione degli oneri e dei benefici pubblici.

Si consideri poi che il 30% degli oneri INPS sono costituiti da assicurazioni sociali, ovvero quei costi sostenuti per garantire a tutti un regime assistenziale ordinario. Costi, questi, che ben potrebbero invece essere autonomamente gestiti per capitalizzazione (garantendo cioè un rendimento nel corso della vita) ed addirittura privatamente.

E' certo comunque che il problema dell’assicurazione previdenziale sia un problema assai antico: infatti già la società della sepoltura dell’antica Roma prevedeva vere e proprie polizze assicurative, almeno fino al 14mo secolo.

Seguì il rapido sviluppo della teoria attuariale almeno a partire dal 1600, con la nozione di probabilità che consentì la nascita del primo fondo di gestione nel settore, il Morris Robinson Mutual Life of NY del 1840; un fondo che risultò poi essere assai speculativo dato che i venditori venivano altamente remunerati secondo la teoria dell'agenzia.

Nello stesso periodo comparve l’Henry Hyde Equitable Life Assurance Society 1880s il quale ebbe il pregio di dare grande valore al flusso di cassa in contanti più che al valore patrimoniale, dando seguito ad un primo inquadramento psicologico dell’assicurazione. Non tardarono nemmeno le critiche al sistema finanziario delle gestioni assicurative: ad esempio, la sociologa Viviana Zelizer riteneva che ciò potesse equivalere a sfidare Dio, a tentare il destino, sempre secondo le convinzioni scientifiche dell’inquadramento psicologico. Se infatti da un lato simili fondi di gestione furono invenzioni successivamente copiate e diffuse in tutto il mondo, l'assicurazione sulla vita restava di certo intesa come una reliquia, considerato che di giorno in giorno le persone morivano sempre più giovani mentre i costi assicurativi non erano certo alla portata di tutti.

Motivo per cui si accesero i riflettori dello Stato affinché il welfare potesse divenire alla portata di tutti. Ma l’interesse pubblico allo strumento assicurativo è invero assai remoto. Nel settore pubblico la prima proposta per l’introduzione nel sistema sociale di un'assicurazione sulla salute fu espressa da Hugh the Elder Chamberlen in Inghilterra nel 1694. Lo scienziato e scrittore di finanza propose infatti un primo modello finanziario noto come Dr. Hugh Chamberlen's Proposal to make England Rich and Happy secondo il quale, più in generale, si faceva riferimento all’utilità di diverse forme di indebitamento privato finalizzato ora ad investimenti ora a forme assicurative idonee a consentire la protezione del capitale e la gestione della liquidità: in breve, secondo l’economista inglese una banca avrebbe comunque dovuto anticipare denaro sulla sicurezza della proprietà fondiaria emettendo grandi quantità di banconote, così come sulla sicurezza degli interessi privati del privato cittadino.

Successivamente, dopo due secoli, fu introdotta negli Stati Uniti d’America la prima assicurazione sulla salute dalla Franklin Health Assurance Company of Massachusetts nel 1850. Comunque ciò che emerse dalle prime esperienze assicurative fu senza dubbio la rilevanza dei costi rispetto ai redditi della popolazione, l’impiego cioè di strumenti più finanziari che pensionistici, nella consapevolezza che le differenze tra rischio e probabilità non erano di certo intellegibili parimenti in termini di incertezza e di costo.

In epoca moderna, nel 1973 fu introdotto, sempre negli USA, The Health Maintenance Organization Act secondo il quale venivano offerte opzioni HMO - health maintenance organization - ovvero tipi di assicurazione sanitaria che impiegavano o consentivano di stipulare contratti con una rete di medici o gruppi medici al fine di offrire assistenza a costi fissi (e spesso ridotti). Questa normativa aveva se non altro il pregio di ridurre i problemi di moral hazard, in quanto è noto che qualsiasi medico sia sicuramente più propenso a guadagnare con i mutuati malati piuttosto che a costi fissi. Invece fu proprio con l’HMO Act che i medici potevano essere salariati attraverso una remunerazione fissa, considerato che la gestione delle cure mediche veniva in tal modo affidata ad un primario – un capo team – capace di gestire l’intero percorso di cure ed assistenza medica, pur sempre al costo dell’assicurazione.

Nel 1986 negli USA venne poi introdotto l’U.S. Emergency Medical Treatment and Active Labor Act (EMTALA) attraverso il quale si richiedeva agli ospedali ed ai servizi di ambulanza di fornire assistenza a chiunque avesse avuto bisogno di cure di emergenza attraverso un "mandato non finanziato". Fu questo il primo passo verso la gestione pubblica dei costi assistenziali americani. O, almeno, di una parte di essi.

La novità del sistema americano fu però l’adozione del U.S. Patient Protection and Affordable Care Act 2010 (Obamacare), atto normativo con il quale veniva prevista una penalità per le persone che non avessero acquistato un'assicurazione; e la stessa penalità veniva prevista anche per le aziende che non avessero acquistato un'assicurazione per i propri dipendenti. La disposizione normativa prevedeva, più in generale, nuovi scambi assicurativi, nella consapevolezza che uno scambio di assicurazione sanitaria rappresentasse un insieme di piani di assistenza sanitaria regolati e standardizzati dallo Stato, dal quale gli individui potessero acquistare un'assicurazione sanitaria oltre al diritto di ottenere sussidi federali, al punto che le compagnie di assicurazione non potrebbero secondo l’Obamacare vietare condizioni preesistenti ovvero abbandonare le persone che si ammalano.

Ora, alla luce delle difficoltà italiane riscontrabili nel sistema assistenziale italiano e dall’esperienza americana si possono dedurre alcune considerazioni.

Anzitutto, la possibilità per l’Italia di affidare la quota medica a carico dell’INPS a forme assicurative private, più remunerative e fuori dal bilancio INPS che, si ricorda, opera per flussi di cassa e non per gestione patrimoniale, garantendo solo ai meno abbienti forme assicurative sulla salute a garanzia pubblica. Tale garanzia pubblica per le fasce deboli dovrebbe consistere se non altro nella stipula di assicurazioni private in nome e per conto del cittadino meno abbiente con quote a carico dell’INPS e contestuale capitalizzazione degli interessi a titolo di remunerazione dell’INPS.

Inoltre, sul modello del Dodd Frank Act, sarebbe necessario contestualmente istituire presso la Consob un ufficio monitoring del rischio sistemico nel settore assicurativo con particolare attenzione al ramo assistenziale.

Ciò che è certo è che una simile regolamentazione ed una siffatta riforma garantirebbe ad oggi un potenziale risparmio del 30% delle spese per assicurazioni sociali gravanti sugli attuali e futuri contribuenti e pensionati iscritti nell’anagrafe INPS.


Angelo Mucci

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