Dopo una lunghissima notte, il cielo è tornato blu sul Regno Unito. Le elezioni generali hanno regalato ai Tory la maggioranza parlamentare più larga dal 1987, quando consegnarono il terzo mandato a Lady Margaret Thatcher. Boris Johnson ha saputo conquistare una vittoria netta e convincente, e possiede ora la legittimazione politica per esercitare una leadership piena sul partito e in parlamento. Quanto al partito, il Primo Ministro ha adesso la forza per contenere le residue resistenze filoeuropee alla sua sinistra e ogni tentativo di condizionamento dell'ERG alla sua destra. Quanto al parlamento, l'accordo di recesso stipulato con l'Ue e rimasto in sospeso dopo il sabotaggio subito alla Camera dei Comuni può essere approvato nella prima seduta dei lavori e chiudere il faticoso divorzio con Bruxelles.
La direzione di marcia di Downing Street appare nuovamente chiara. Il "one nation conservative government" è Atlantista e liberista. La strategia è geopolitica e commercio. La destinazione è meno Europa e più Commonwealth.
La relazione speciale con gli Usa recupera la centralità nella politica estera, mentre la strategia Global Britain diventa l'asse della politica commerciale. Da Washington, DC, il Presidente Donald Trump si è congratulato con Boris Johnson, promettendo un "grande accordo commerciale" con Londra dopo Brexit. Il Potus ha twittato: "Questo accordo ha il potenziale per essere molto più grande e più lucrativo di qualsiasi accordo che potrebbe essere fatto con l'Ue." Con le capitali del Commowealth, Londra ha già stipulato accordi bilaterali di "continuità" (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Israele, le nazioni sudafricane, le nazioni dei Caraibi, e le isole del Pacifico) che entreranno in vigore al termine del periodo transitorio, a dicembre 2020. A dispetto della retorica post-elettorale europea, l'accordo commerciale con l'Ue non appare in cima alla lista delle priorità. Boris ha in mente deregolamentazione, tagli fiscali, riduzione della burocrazia, recupero di competitività e intende dare le carte al tavolo negoziale, presentandosi a Bruxelles con un'economia in crescita, un mercato del lavoro stabile, i conti in ordine e la sterlina forte, per vendere l'accesso dei 27 al pool di liquidità della City di Londra a caro prezzo.
Gli europeisti escono dalle elezioni con le ossa rotte. Nel corso della notte, si è sgretolato il "muro rosso", la cintura laburista da Clwyd a Grimsby. Gli elettori del Labour Party hanno rovesciato decenni di tradizione politica e hanno votato conservatore in tutto il cuore industriale inglese. Lo shock dei numeri, che ha certificato il peggior risultato elettorale dei laburisti dagli anni '30, ha subito ceduto il passo alla rabbia e già nella notte si è consumata la resa dei conti. Jeremy Corbyn non è più il leader laburista. Da quando ha conquistato la guida del partito nel 2015 è riuscito a sopravvivere a due Primi Ministri Tory. Ma di fronte alla sua seconda sconfitta elettorale ha chiuso la sua parabola politica. Il Labour Party è in macerie. Servirà tempo per superare il lascito di Corbyn. L'ambiguità sulla Brexit, le derive antisemite, la vicinanza a Maduro, il sostegno al nazionalismo irlandese, il manifesto marxista da XIX secolo, e altre posizioni controverse hanno dilapidato nel breve volgere di una legislatura l'eredità politica di Neil Kinnock, John Smith e Tony Blair. I LibDem vengono relegati all'irrilevanza politica. La leader del partito Jo Swinson non è stata eletta nel suo collegio di East Dunbartonshire, vinto dallo Snp, ed ha immediatamente rassegnato le dimissioni dalla segreteria.
Altrettanto chiara è la disfatta del DUP, il partito degli unionisti nordirlandesi. Il capogruppo a Westminster Nigel Dodd, che aveva sottratto il cruciale sostegno del partito a BoJo, sabotando l'accordo di recesso, non è stato rieletto nel collegio di Belfast Nord, detenuto dal 2001.
BoJo è dunque stato capace di compiere un'impresa politica titanica, riuscendo dove tutti prima avevano fallito. In questo, ha dimostrato visione, strategia, disciplina e resilienza. Grande è l'errore di chi giudica il Primo Ministro di Sua Maestà dal taglio dei capelli. Legere et non intellegere neglegere est.
Redazione Italia Atlantica
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