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Giustizia. Parola d’ordine: privacy.

Aggiornamento: 23 apr 2023



Correva l’anno 2008. Il Ministro della Giustizia Clemente Mastella si era appena dimesso per un’inchiesta giudiziaria a suo carico. Motivo? Gli esiti dell’inchiesta Why Not, le ipotesi di reato di abuso d’ufficio, il sospetto di essere coinvolto in una rete costituita da politici, imprenditori, giudici e massoni finalizzata ad ottenere finanziamenti dallo Stato e dall'Unione europea.

Il caso venne citato durante la trasmissione Sky TG 24 dal Giudice Palamara Luca che sul punto lodava il ruolo della magistratura e le successive dimissioni del guardasigilli, finché una telefonata non interruppe l’intervista della conduttrice Maria Latella. Era il Senatore Cossiga che, senza mezzi termini, definì l’illustre ospite togato con colorite espressioni: “Ha la faccia da tonno. La faccia intelligente non ce l’ha assolutamente. In questi anni ho visto tante facce e le so riconoscere”. Proseguendo, il Senatore a vita andò al dunque: “L’associazione nazionale magistrati è un’associazione sovversiva e di stampo mafioso”.

Poi, a distanza di 12 anni, l’ANM fu sul punto di crollare. E crolla - almeno moralmente - nell’aprile 2023, dopo tre anni di indagini e processi a carico proprio dell’ex magistrato Palamara: sono cadute infatti le accuse per corruzione. Restano quelle di traffico di influenze illecite.

Ora, che la Procura di Perugia abbia fatto un evidente passo indietro è chiaro. Come è altresì evidente che il problema della corruttela giudiziaria non ammetta capri espiatori come un illustre giudice. Perché di certo, non sarebbe - né potrebbe esserlo - l’unico responsabile. La vicenda ha però avuto anche il merito di esporre al pubblico - trattandosi di un pubblico interesse – le peripezie della giustizia italiana, ampiamente argomentate dall’ex giudice Palamara in ogni sede, stampa e televisioni comprese. E ciò si presume conformemente all’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che sancisce la libertà di espressione.

Nella realtà quotidiana il problema era peraltro ben noto agli operatori della giustizia, a quanti in quel mondo vivono ogni giorno. E da tempo. Questioni notoriamente più estese rispetto alle vicissitudini intercettate e rese note ne “Il Sistema”; intrighi che avvengono a palazzo, all’interno del CSM e, poi, diventano problemi che invece andrebbero affrontati tra le Procure competenti, tra giudici inquirenti ed i Tribunali indagati (nella convinzione che i luoghi della giustizia sappiano almeno cosa avviene al loro interno). Ciò richiederebbe tuttavia di accettare nel contempo una guerra fratricida; una causa in effetti difficile da perseguire tra togati.

C’è però chi ha ragione di credere che soltanto la managerializzazione dei Tribunali, dei loro Presidenti, possa consentire in futuro un cambiamento di passo del sistema, per migliorare lo stato di credibilità della giustizia in Italia. Questo è un punto programmatico interessante dei Liberali Democratici Europei. Un punto su cui tutti per necessità dovrebbero convergere.

Attualmente, ad esempio, esistono dei ruoli aziendali nelle Procure nazionali molto interessanti affinché una simile riforma possa avere luogo: quello dei cancellieri, dei dirigenti e dei funzionari amministrativi. Già perché nella recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea n. 268/21 del 02/03/2023 viene anche affermato il diritto ad accedere alle prove necessarie per dimostrare adeguatamente le proprie ragioni in causa; prove che possono eventualmente includere dati personali delle parti o di terzi, purché esse siano sempre valutate alla luce del principio di minimizzazione dei dati di cui all’art. 5 par. 1 lett. c) del GDPR. E viene sancito un importante limite all’accesso ai dati giudiziari che risiede nelle limitazioni dell’impiego di simili dati imposte per la salvaguardia dell’indipendenza della magistratura e dei procedimenti giudiziari. In effetti, è proprio con con l’entrata in vigore del GDPR nel 2016 che l’indipendenza della magistratura avrebbe assunto una nuova accezione, connotata di ulteriori vincoli nello svolgimento delle indagini. Ma anche di validi mezzi di indagine e di tutela, aggiuntivi ed autonomi rispetto al segreto d’ufficio.

Sul punto sia il Palamara-gate che la vicenda Uss hanno avuto un unico leitmotiv: il potere sulle informazioni giudiziarie.

Di conseguenza, una domanda sorge però spontanea: chi avrebbe il diritto e l’onere di tutelare ovvero limitare l’indipendenza, la privacy, della magistratura? Chi potrebbe sapere, verificare e limitatamente correggere le storture procedurali della giustizia pratica?

Per rispondere a questi interrogativi occorre un ulteriore riferimento normativo del corpus privacy. La normativa prevede infatti che sia il Ministero della Giustizia il titolare dei dati a norma del GDPR, in contitolarità con gli uffici delle rispettive Procure; egli sarebbe titolare esclusivo e delegante di tutti i dati inerenti ai magistrati ovvero relativi ai provvedimenti giudiziari da loro iscritti.

Il potere dell’istituzione giudiziaria, in quanto unica titolare della gestione delle suddette informazioni, è quindi per legge europea nelle mani del solo dominus: il Ministro della Giustizia. Da cui ne deriverebbe l’esclusività del Ministero ad accedere ad atti e, persino, correggerli secondo la normativa internazionale.

Disposizioni che legittimerebbero appieno le attività del Ministero sul caso Uss e le recenti affermazioni dell’On. Nordio, il quale ha evidenziato come la magistratura sia di fatto intoccabile per assenza di forme “pulite” di garantismo.

Inoltre, pur volendo esulare dagli atti processuali costruiti ad esempio attraverso lo strumento delle intercettazioni nel processo Palamara, è possibile constatare come l’attuale vicenda di Artem Uss sia affetta da un deficit pratico di data-management; un problema concreto, succedaneo alla criminalità giudiziaria rappresentata dall’allora On. Cossiga, eppure assai affine in termini operativi, noto come data breach; è il dovere incondizionato del titolare del trattamento dati a dover attivare un’azione di verifica sull’operato dei giudici. E persino di correzione.

Recita infatti l'art. 10 GDPR - Trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e reati: "Il trattamento dei dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza sulla base dell'articolo 6, paragrafo 1, deve avvenire soltanto sotto il controllo dell'autorità pubblica o se il trattamento è autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati membri che preveda garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati. Un eventuale registro completo delle condanne penali deve essere tenuto soltanto sotto il controllo dell'autorità pubblica."

Ciò significa che se il trattamento è necessario per la salvaguardia degli interessi vitali dell'interessato (da intravedere nei provvedimenti di custodia cautelare) o di un'altra persona fisica o se il trattamento è necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico (come previsto dall'art. 10 CEDU) o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento (da individuarsi certamente del Ministero della Giustizia), l'informazione giudiziaria, compresa quella relativa alle misure di sicurezza, deve avvenire sotto il diretto controllo dell'autorità titolare del dato, specie se destinato ad essere comunicato o diffuso anche a Stati terzi alla UE per finalità di indagine.

Certo il problema del controllo giurisdizionale è una questione assai delicata. L’illustre costituzionalista Giuliano Amato, ad esempio, si è espresso come segue: “Uno dei pilastri dello stato di diritto è l’indipendenza della magistratura. Se mi chiedete in linea di principio se un ministro della Giustizia ha ragione o meno nel dire che non può interferire con le decisioni della Corte, io penso “Dio salvi il ministro della Giustizia finché pensa questo e non l'opposto”.

E' dunque importante che la giurisdizione venga individuata imparzialmente e conformemente alla materia del contendere: nei casi accennati, sembrerebbe così coinvolta a latere anche la specifica legislazione in materia di attendibilità, affidabilità e circolazione delle informazioni giudiziarie di interesse pubblico. Perché è evidente che la sicurezza dello Stato, le attività di spionaggio, così come il malcostume giudiziario, sono informazioni di interesse pubblico.

In effetti, ripensare la dirigenza del Tribunale attraverso le formule organizzative proprie della normativa privacy già previste per il trattamento dati giudiziari consentirebbe sin d’ora di adottare tutte le tutele garantiste necessarie per una effettiva vigilanza sull’operato della magistratura. Questo richiederebbe nel contempo di dover potenziare l’organico di via Arenula, magari decentrando le funzioni proprie nelle rispettive Corti distrettuali. Magari accentrando strutture, risorse e, sicuramente, personale.


Angelo Mucci


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